
A volte l’aforisma “Volere è potere”, più che una garanzia, sembra essere un’ambita speranza.
Nella controversia, sorta ai primi del novecento, tra gli psichiatri austriaci Freud e Adler, su cosa generasse e guidasse i comportamenti degli esseri umani, il primo propose la “libido”, il secondo la “Will zur Macht” (volontà di potenza).
In effetti le due “fonti energetiche” sono contigue se non conseguenti. Mi spiego.
Dall’alba del mondo il potere, inteso come capacità di dominio, si è sempre manifestato in due modi: esibizione di opulenza e dimostrazione di potenza (amatoria). La competizione è aperta a tutti, ognuno nella sua sfera di relazioni sociali, lavorative, familiari e… Guai ai vinti!
Il senso di inadeguatezza, secondo Adler, procurerebbe una vigorosa reazione di rivalsa (incontenibile impulso psichico) per compensare presunte carenze fisiche, estetiche, economiche, con i mezzi più disparati e disperati.
Dall’ultimo dopoguerra, gli inesauribili progressi dell’industria hanno consentito di creare e distribuire oggetti, rappresentativi dello status sociale raggiunto, sempre più abbordabili, apparentemente idonei ad assecondare tracotanti fantasie ed arcaici desideri di superiorità.
Un tarlo subdolo e maligno però, infiltrato in non si sa quale parte della mente maschile, continuava da secoli a bisbigliare che la “potenza” è ben altra cosa dal possesso di oggetti superlativi ma sussidiari, semplici protesi di ambizioni esteriori e soprattutto, fatto sconcertante, la “potenza vera” non rispondeva affatto alla volontà. La soluzione del problema sembrava irraggiungibile se anche i grandi eroi, dalle poderose muscolature, artefici di grandi imprese, potevano essere tacciati di impotenza (e derisi!) se fallivano l’unica fatica, degna di apprezzamento universale.
La “libido” freudiana senza “potenza” era solo vergognosa farsa.
Come spesso accade per le grandi idee, la scoperta avvenne per caso, germogliò da una coincidenza fortuita, alla maniera della mela di Newton o della vasca di Archimede.
Nel 1986 gli scienziati iniziarono la ricerca di un farmaco che impedisse le ostruzioni coronariche, con l’obiettivo di salvaguardare il muscolo cardiaco da pericolosi infarti. Dopo lunghe sperimentazioni, nel 1991 si accorsero che il medicamento non garantiva affatto l’oggetto del loro studio ma, in compenso, favoriva superbe erezioni. Qualche osservatore avrà commentato, ironicamente, che quel portento era adatto a risolvere comunque questioni di cuore, seppure in altro modo.
Passati i tempi di cantaridi, mandragole e una serie infinita di afrodisiaci inaffidabili, finalmente era disponibile un moderno sussidio certificato e garantito, in grado di collegare la potenza alla volontà, l’efficienza al desiderio, la libido al piacere.
Successo popolare ed eccitazione generalizzata (in tutti i sensi!). La diffusione della piccola compressa, d’insolito colore azzurrino, ha sostenuto e continua a sostenere orgogli individuali ed armonie coniugali, procurando emozioni molto simili alla felicità.
Che i preti intendessero questo quando profetizzavano l’imminente elargizione di gioie celesti? Mah!
Sia come sia la compressa blu ha risolto, in buona parte, l’atavica ansia da prestazione, il timore di sfigurare di fronte alla “prova maestra” riconducendo sul piano scientifico quanto, una volta, era affidato a oscure miscele erboristiche o tenebrosi incantesimi.
Rimedio buono o cattivo? Al di là del bene e del male, risponderebbe Nietzsche. La cosa importante è non demandare soltanto ad automatiche vasodilatazioni, peraltro scontate, il compito di colmare illusionistiche chimere di supremazia.
-William