“In questa terra di lacrime, ci restano due piaceri: amare una bella donna e fumare un sigaro toscano”.
Carlo Levi (1902-1975)
Non è un’apologia del tabacco, rischierei il rancoroso anatema degli igienisti. Ma la discussa foglia merita qualche commemorazione in virtù del suo passato ricco di aspetti culturali, ormai oscurati da un integralismo laico che, al pari di quello religioso garante di salvezza eterna, ha intrapreso l’evangelizzazione per una salute eternabile, raschiando via immagini o allusioni al “vizio”. Comitati di salute pubblica propongono di togliere la sigaretta penzolante allo sfacciato Humphrey Bogart, il sigarillo al duro Clint o i “siluri” dalle labbra di Al Capone.
Se la tendenza è questa bisogna rassegnarsi a morire, con qualche nostalgia, sani e santi: a mio avviso, i due aggettivi non tarderanno a sovrapporsi.
Subissati da codesta furia iconoclasta, mi domando, fra altri interrogativi, a quali espedienti scenici ricorreranno i maestri della complessa grammatica cinematografica per descrivere sentimenti quali angoscia, arroganza, indifferenza?
Penso al portacenere che si riempiva: attesa insopportabile; alla sigaretta aspirata rapidamente e frettolosamente spenta: ansia tormentosa; alla pensierosa fumata di pipa; alla protervia del sigaro emblema di potere, ricchezza, sfrontatezza; agli anelli di fumo sinonimo di tranquillità contrapposti alle dense nebbie della lacerante apprensione.
Anche le classi sociali non verrebbero più identificate attraverso le loro abitudini tabagiste.
Cadrebbero: i vistosi sigari come emblematico accessorio dei magnati dell’industria, dei banchieri, ma anche dei capomafia; le “senza filtro”, equamente affibbiate a operai e intellettuali (a questi ultimi erano riservate le epiche “Gauloises papier maïs”, ormai introvabili); le pipe, in varie fogge e dimensioni, ineludibile accessorio di commissari, investigatori, filosofi, marinai e psichiatri.
Le donne fatali, irradianti atmosfere di fascino e irresistibile seduzione, non maneggerebbero, al pari di una bacchetta magica, lunghissimi bocchini forniti di aromatiche “bionde” e gli uomini presenti non risponderebbero, fumando in modo nervoso (l’innamorato), indolente (il dandy scanzonato), tranquillo (il gaudente) o concitato (lo spasimante tradito).
Salteranno ugualmente i fondamentali riferimenti etnici: un plausibile capo pellerossa aveva sempre fra le mani il calumet quando trattava con il gringo che, inevitabilmente, serrava in un angolo della bocca una cicca fumigante e il mercante arabo sarà poco credibile se non succhierà il gorgogliante narghilè. Il turco, famosa ciminiera vivente, che era raffigurato e raccontato come il consumatore di nicotina per eccellenza non verrà più citato nel proverbio. Abolito anche quello!
È possibile togliere dalla storia gli adepti di Jean Nicot? Quesiti impertinenti, degni di uno scriteriato revisionista, si accavallano: Churchill avrebbe vinto ugualmente la guerra senza i suoi Romeo y Julieta? Freud privato della pipa avrebbe mai “inventato” la psicanalisi? E l’ultimo, il più insolente di tutti: è possibile che la rivoluzione di Fidel sia stata soltanto un’operazione pubblicitaria per gli ottimi “habanos”?

-William