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  • william

Finché la barca va…



Se i Balinesi, pur abitando un’isola temono il mare come ricettacolo di tutte le più nefaste divinità, i Moken, migratori per scelta e cacciatori-raccoglitori per bisogno, poco amanti della terra ferma (sede di spiriti maligni), vivono su imbarcazioni nei pressi delle isole, procurandosi il cibo con la pesca e la raccolta di molluschi, in sintonia con gli antichi ritmi stabiliti da luna, maree, venti e correnti.

Esemplari, nella loro peculiare interpretazione abitativa questa popolazione nomade diffusa prevalentemente nell’arcipelago di Mergui, nel mare delle Andamane, dinanzi alla costa meridionale del Myanmar (Birmania), ai confini della Thailandia.

I battelli hanno una lunghezza compresa tra i 7 e gli 11 metri per una larghezza di circa 3; a bordo si svolge la vita quotidiana di gruppi familiari che, in genere, non superano le trenta unità. Oltre che mezzo di sussistenza e di trasporto, sono prima di tutto rifugio domestico permanente. Si potrebbe pensare che una sede abitativa così angusta mal si concili con suddivisioni artificiose di funzioni e mansioni. Il Moken, invece, ha “trasformato” il proprio mezzo in un organismo virtuale indicando, a partire dalla prua, una bocca, un collo, spalle, stomaco ed ano.

La riprova dell’intimo rapporto che lega il nomade alla sua barca-abitazione, si evidenzia nel momento della morte, quando il defunto viene racchiuso in una bara ottenuta con le due parti del proprio natante, tagliate e sovrapposte, e quindi cremato: la morte del proprietario coincide con quella del suo alter-ego, uniti in un comune destino.

-William

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