Nel vangelo di Matteo (16:18) si legge la celebre frase “…tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa…”. Era l’atto fondativo della religione cristiana.
Che le chiese, per la quasi totalità, siano state costruite in pietra è cosa risaputa e altrettanto conosciuti sono i vari stili che ne svelano periodo storico, momento epocale ed architetto geniale.
Meno conosciuta una loro diversificazione strutturale imposta da vicende che, a partire dall’ottavo secolo fino a metà del XVII secolo, ne alterò progettazione e funzione.
Le grandi invasioni barbariche prima, le conquiste mongole (1241) e turche (1395) dopo, per finire con le guerre di religione europee, obbligarono gli abitanti delle zone interessate dalle incursioni militari a costruire chiese fortificate. Particolarmente numerose (circa 150) in Transilvania, compaiono, benché in numero inferiore, anche in Francia nella zona della Grande Thiérache, della Lorena, della Charente Marittime e in Dordogna. In Germania vanno segnalate Kößlarn, Wenkbach, Kleinbreitenbach e in Svizzera, Muttenz.
Costruzioni ibride, o se vogliamo polivalenti, in cui, assieme agli elementi architettonici propri delle finalità cultuali (salvare l’anima), compaiono quelli della difesa (salvare la pelle): antemurali, contrafforti, torri, feritoie, barbacani e tutto quel bel corredo protettivo tipico dei castelli.
Fuori dal tempo storico e dallo spazio contestuale, forse solo in apparenza, si ergono le due splendide chiese disegnate dall’architetto Mario Botta: San Giovanni Battista a Mogno e Santa Maria degli Angeli sul monte Tamaro.
La prima realizzata nel 1987, in sostituzione della precedente del 1636 travolta da una valanga nel 1986, si staglia materica e compatta come un avamposto di guardia.
La massa monolitica di forma ellissoide cilindrica, tagliata in diagonale da una vetrata di copertura, unica fonte di illuminazione naturale, si stempera nel gioco bicolore delle fasce orizzontali. Un contrafforte rampante sostiene le campane rituali.
Nella piccola sala (accreditata per 15 persone), priva di finestre, si respira, complici i fasci di luce che penetrano dal soffitto, un’atmosfera incantata da fiaba arturiana e da santo Graal.
Tutt’altre dimensioni per S. Maria degli Angeli sul Tamaro vera e propria piazzaforte. Un lungo percorso sopraelevato conduce, come un cammino di ronda sorretto da un semiarco, ad un bastione circolare che si affaccia superbo (e minaccioso) sulla vallata del fiume Ticino.
Al piano inferiore è racchiusa l’area sacra raggiungibile da una doppia scalea ai lati della rocca e posta al termine di un corridoio illuminato lateralmente da feritoie circolari. La sala templare, che segue la linea perimetrale della rocca, riceve la luce da caditoie (aperture nelle mura per effettuare la “difesa piombante”) poste a livello del pavimento. Anche qui l’intimità rassicurante, originata dal senso d’isolamento tutelare delle grandi pietre, appare idonea ad accogliere, contenere, le disgregazioni e le trepidazioni dello spirito.
Le due composizioni dell’architettura contemporanea, definibili sculture per la loro avvincente plasticità, evocano spontaneamente fantasie di antichi baluardi ed imprese cavalleresche, e indirizzano il pensiero al più moderno e tormentoso deserto di Buzzati.
Plausibile inquietudine. Se il destino circolare (tanto caro a Nietzsche) è inserito nell’avvenire dell’umanità e l’architetto terreno, come il suo omologo celeste è dotato, in qualche misura, di doti profetiche, le cronache dei nostri giorni appaiono come l’annuncio di un nuovo medioevo di fedi (culture) violentemente difese e la giustificata conferma della sua premonitrice, precauzionale visione artistica.
-William